L’autarchia
L’obbiettivo dell’autosufficienza economica, che il governo italiano persegue già dagli anni ’20 con la «battaglia del grano», si impone definitivamente negli anni ’30 a seguito dell’embargo deciso dalla Società delle Nazioni per punire l’aggressione italiana all’Etiopia del 1935. Le sanzioni economiche votate a Ginevra non sono, in realtà, tali da creare effettive difficoltà all’Italia, ma il governo fascista le utilizza abilmente per creare coesione tra la popolazione facendo appello all’orgoglio nazionale.
Sui muri dei municipi compaiono i manifesti e le lapidi che gridano «all’infamia» e vengono lanciate apposite campagne di propaganda e di sostegno allo Stato, come quella della «giornata della fede», che chiama gli Italiani a donare la propria vera nuziale per partecipare allo sforzo della patria.
Allo stesso tempo, l’Italia sceglie la strada dell’autarchia – il sistema economico che ha come obiettivo l’autosufficienza – e la mantiene anche dopo la sospensione delle sanzioni. Nel corso della guerra d’Etiopia, infatti, Mussolini annuncia che l’autarchia non va più considerata una fase momentanea della vita italiana, ma il definitivo progetto che deve orientare tutto lo sforzo produttivo della nazione.
La politica autarchica viene sostenuta da una capillare campagna di comunicazione pubblicitaria che promuove i prodotti locali, incoraggia la ricerca di materie prime alternative e lancia messaggi sociali antispreco.
È soprattutto il manifesto a imporsi come mezzo di propaganda: i fogli politici fascisti, esposti nei luoghi del potere e della vita comune, insieme alla radio, diffusa nelle scuole, nelle fabbriche, negli uffici e nelle abitazioni, diventano veicoli con cui educare le masse e strumenti di consenso.
Il problema della cellulosa
La scelta autarchica determina pesanti conseguenze per l’approvvigionamento di alcune materie prime. Uno dei problemi più dibattuti è quello della cellulosa, che viene quasi completamente importata dall’estero ed è indispensabile per la produzione di carta, tessuti, esplosivi. La questione, già emersa negli anni precedenti, diventa ora drammatica: la difficoltà di procurarsi la materia prima ricorrendo al commercio estero, l’impetuoso sviluppo dell’industria dei tessili artificiali, la prospettiva dell’impegno bellico che prefigura un ingente consumo di cellulosa nobile per gli esplosivi rendono urgente una soluzione. All’Italia, priva delle fonti delle cellulose più pure, cioè cotone e alberi ad alto fusto, non restano che due vie, oltre al risparmio della carta: il rimboschimento con latifoglie a crescita rapida come il pioppo e l’impiego di piante a ciclo annuale.
Al fine di promuovere lo sviluppo della fabbricazione di cellulosa da materie prime nazionali, nel 1935 viene fondato l’Ente nazionale per la cellulosa e per la carta, che sostiene una serie di ricerche e sperimentazioni, orientandosi verso l’utilizzo della canna comune
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È però la SNIA Viscosa, sotto la spinta del dinamico imprenditore Franco Marinotti, a prendere per prima l’iniziativa di realizzare un grande impianto per estrarre cellulosa dalla canna gentile (Arundo Donax). La SNIA (in origine Società di Navigazione Italo-Americana) è all’epoca una delle principali realtà industriali italiane nella lavorazione della cellulosa e nella produzione di fibre tessili artificiali. Da diversi anni si dedica in particolare alla cosiddetta “seta artificiale”, la viscosa, e per questo nel 1922 ha cambiato il proprio nome aggiungendo quello del suo prodotto principale e diventando così SNIA Viscosa (Società Nazionale Industria Applicazioni Viscosa). In breve, l’azienda presenta al governo il proprio progetto e ottiene adeguate garanzie di sostegno economico e finanziario.
La produzione di cellulosa da canna
La SNIA Viscosa si mette subito alla ricerca di un territorio adatto per coltivare su larga scala la canna gentile e per costruire un nuovo grande stabilimento industriale per la sua lavorazione. Le caratteristiche del nuovo insediamento sono descritte dal suo presidente Franco Marinotti in una lettera a Mussolini: «non intaccare terreni già adibiti ad intenso sfruttamento agricolo ed in avanzato ciclo produttivo; preferire zone gravate da disoccupazione operaia; preferire zone servite da facili comunicazioni interne con conseguente notevole economia del costo di trasporto». Il territorio che risponde a tutti questi requisiti viene individuato nella Bassa friulana, in corrispondenza di Torre di Zuino, piccolo borgo di origine settecentesca.
La SNIA Viscosa acquisisce quindi i terreni circostanti Torre di Zuino (circa 6.000 ettari) e organizza il territorio adattandolo alle esigenze colturali. Crea anche un’azienda apposita, la SAICI (Società agricola industriale cellulosa italiana), con il compito di gestire il programma agricolo e industriale per la produzione di cellulosa dalla canna comune. Nel frattempo, grazie alla prospettiva della nuova impresa industriale, il Consorzio di bonifica ha finalmente ottenuto il finanziamento necessario per il completamento delle operazioni di bonifica idraulica.
Contemporaneamente iniziano i lavori di costruzione dello stabilimento per la lavorazione chimica della canna e la produzione della cellulosa: una struttura di 400.000 metri cubi, che diventeranno 600.000 nel 1940. La forza lavoro impiegata è enorme per il piccolo contesto della Bassa friulana: 1.700 operai per la costruzione dello stabilimento, almeno 4.000 invece le persone impiegate nelle attività agricole.