Le bonifiche

La necessità della bonificazione dei terreni paludosi si presenta al nuovo Stato italiano immediatamente dopo la sua unificazione: la situazione dell’agricoltura italiana viene descritta nel 1877 dal senatore Stefano Jacini in una celebre inchiesta sulle condizioni fisiche, morali, intellettuali ed economiche dei lavoratori della terra, che porta alla luce un macrocosmo di povertà, denutrizione, promiscuità, ignoranza. Il senatore denuncia anche la larga diffusione della palude e della malaria, favorite dai disboscamenti e dall’incuria dei governi precedenti.

La prima legge in materia di bonifiche è del 1882 e affronta la questione come problema igienico-sanitario. È nel primo dopoguerra che comincia a farsi strada una concezione organica della bonifica, intesa come sintesi di bonifica idraulica, agraria e igienica. Tra il 1923 e il 1924, nuove leggi si occupano delle trasformazioni fondiarie e prevedono la possibilità di costruire villaggi per accogliere in un primo momento la mano d’opera addetta ai lavori di bonifica e successivamente la popolazione rurale che intende stabilirsi nelle zone risanate.

La legge fondamentale della bonifica integrale, conosciuta come «legge Mussolini», è del 24 dicembre 1928: unificando le disposizioni normative precedenti, assegna alla bonifica integrale anche il compito di realizzare gli appoderamenti, al fine di permettere il collocamento stabile di nuclei di famiglie coloniche sul territorio, garantendo così quei servizi di piccola bonifica necessari a sconfiggere la malaria.

La bonifica integrale si inserisce, in verità, in un più vasto programma di politica agraria che mira all’autosufficienza alimentare al fine di ridurre l’indebitamento con l’estero per l’acquisto di grano. Nel 1925, il governo guidato da Benito Mussolini lancia la «battaglia del grano», una campagna di riforma agraria volta ad aumentare e migliorare la produzione cerealicola interna attraverso la selezione delle sementi migliori, la diffusione dei concimi chimici e dei mezzi di lavorazione meccanica, l’aumentata disponibilità di nuove terre strappate alla palude. Il traguardo è guadagnato in appena sei anni: un grande successo, apparentemente, anche sul piano internazionale, ma con forti distorsioni, alla lunga, di cui soffrirà l’intera filiera agricola, ritagliata in una sorta di monocoltura.

Le bonifiche nella Bassa friulana

La pianura friulana presenta una chiara distinzione in due parti in corrispondenza con la linea delle risorgive, dove le acque che incontrano il sottosuolo impermeabile affiorano in superficie formando corsi di portata abbondante. L’andamento imprevedibile di questi corsi rende indispensabile un sistema di canalizzazione per raccogliere le acque e creare le condizioni favorevoli a insediamenti e coltivazioni. Per secoli, di conseguenza, vaste zone della Bassa friulana sono stata improduttive, infestate dalla malaria e scarsamente abitate.

La trasformazione della Bassa attraverso l’opera di bonifica inizia soltanto nel primo dopoguerra per rispondere a due esigenze: la volontà di eliminare i bacini in cui prolifera la zanzara anofele, causa della malaria, e la necessità di rendere produttivi nuovi territori. Dal momento dell’annessione all’Italia, per il Friuli la bonifica della Bassa è uno dei più importanti interventi sul territorio e scatena una forte contrapposizione tra interessi contrastanti.

Il problema viene risolto dal governo, che nel 1929 nomina presidente del neo costituito «Consorzio di secondo grado per la trasformazione fondiaria della Bassa Friulana» il senatore Primo Cesare Mori, con il compito di coordinare tutte le attività. La gestione di Mori si impone per pragmatismo e decisione. Ciononostante, Mori non riesce a completare il progetto, anche a causa della frammentazione della proprietà agraria.

A metà degli anni ’30, l’azione del Consorzio è avanzata soltanto in parte, ma ormai lo Stato in quegli anni non è più in grado di finanziare opere come le bonifiche, nonostante una legge del 1933 che pone la bonifica integrale ai vertici della politica economica interna del governo fascista. A breve, i lavori nella Bassa si riducono esclusivamente all’oggetto di una nuova iniziativa imprenditoriale: la costruzione di Torviscosa.